
La ripartenza è stata per tutti una fase complicatissima. Figuriamoci per chi ha dovuto letteralmente rialzare le serrande delle attività commerciali e cercare in ogni modo di portare acqua al proprio mulino. Ci sono state realtà che hanno deciso di impiegare i mesi di quarantena a sistemare i propri locali, rimodernare o modificare gli spazi implementando il proprio modello di business.
Tra questi, McDonald’s ha certamente fatto tesoro del tempo a disposizione per mettere a segno delle idee che aveva già in serbo da tempo ma che, per evitare perdite in periodi nevralgici dell’anno (vedi Natale e festività), aveva dovuto rimandare.
Proprio oggi, la riapertura di un ristorante della nota catena americana mi ha dato lo spunto per riflettere su una casistica sempre più frequente nell’ambito della Customer Experience e mai considerata come una tra le cause dell’allontanamento di un avventore da un punto vendita: l’Overcare, ovvero la cura eccessiva.
Chi ha detto che le risorse economiche possono comprare tutto?
McDonald’s è una potenza e questo lo sappiamo. Ma non è detto che se si dispone di fondi consistenti il successo della nostra attività sarà garantito.
Possiamo investire, senza paura della telefonata della banca, su molte cose ma siamo certi che tutte concorrano all’incremento della clientela?
Stamattina, nei pressi della mia abitazione di Roma, ho notato quei mega palloncini che si vedono a distanza di km e sono tipici delle inaugurazioni. Ricordando che nelle ultime settimane il fast food più famoso al mondo aveva smantellato completamente il ristorante li vicino, sono passata con mio marito incuriosita dalla novità.
Notiamo subito che l’insegna aveva aggiunto la dicitura McCafè, quindi decidiamo di entrare per la colazione.
Tour guidato di una colazione, dall’arrivo al saluto.
Entrati nel parcheggio, un signore con divisa McDonald’s ci viene incontro per aiutarci a posteggiare. Ci guardiamo spaesati perché eravamo in una piazzola e perché da anni frequentavamo quel ristorante senza che mai fosse avvenuta una cosa del genere. Scendendo dall’auto l’addetto mi saluta, mi illustra che hanno riaperto oggi, che hanno ristrutturato e tutto il resto. Faccio caso che sulla sua targhetta c’era scritto MANAGER che, per il marchio suddetto, indica il responsabile del negozio. “Caspita!”, penso, “Addirittura accolgono i clienti nel parcheggio”.
Ci accompagna all’ingresso e subito si affretta ad assistere i successivi clienti. Entriamo. Locale carinissimo, rimesso completamente a nuovo, nuovo spazio bar e dolci annesso. Una ragazza che, secondo la targhetta, era l’addetta all’accoglienza, ci viene incontro e ci invita all’igienizzazione delle mani e ci spiega il distanziamento dei tavoli.
Terminate le pratiche post-Covid una nuova figura ci si avvicina per aiutarci ad effettuare l’ordine dal maxi-tabellone automatico. Gli spiego che, essendo esperta, potevo farcela da sola. Non si fida, mi attende per tutto il tempo a fianco dell’apparecchio in attesa dell’uscita dello scontrino che avrebbe decretato la mia idoneità all’ordine.
Sventolando trionfante il pezzo di carta che sanciva la mia vittoria, faccio per andarmi a sedere ed attendere il mio ordine ma…vengo intercettata da una persona che accompagna ai tavoli. Finalmente ci accomodiamo!
Sembrava finita, ed invece…
Mentre commentavo con il mio accompagnatore, in attesa del cibo, i nuovi arredi e le modifiche apportate al locale, ecco che si materializza l’addetta all’accoglienza che ci interroga sulle novità. Ci chiede cosa ne pensavamo, si intrattiene con noi, ci spiega gli esterni e notando che io le davo corda (un po’ perfida volevo vedere sin dove arrivavamo!), mi racconta per filo e per segno tutto l’iter ristrutturativo di un locale McDonald’s dal progetto all’attuazione passando per le nuove assunzioni.
Fortunatamente, arriva la nostra comanda. Ci lascia. Cerchiamo di riprendere a parlare ma ci accorgiamo che il locale è pieno di persone, ce ne saranno forse 25, di cui solo 6 sono i clienti.
Chi sono tutti gli altri?
Abbiamo contato una ventina di persone solo nella parte in front del locale, quindi senza contare chi era alla preparazione, tra addetti al banco panini, caffetteria, accoglienza, sanificazione, pulizia post mangiata, store manager e… dirigenze.
Cinque o sei persone dell’headquarter a mettere pressione e soggezione a tutte le figure sopracitate ed a rendere l’ambiente poco amichevole, affatto rilassante e pressante, con una presenza riconoscibilissima a chiunque abbia avuto a che fare con aziende più o meno grandi: uniti in gruppetto, tailleur e doppi petti, controllo compulsivo dello smartphone, indice puntato alla malefatta del momento ammiccando col collega.
La sentivo io la pressione, che mi stavo bevendo un caffè, figuriamoci chi magari era al suo primo giorno di lavoro.
La grande fuga.
Comunque, alla fine beviamo il caffè, non siamo potuti neanche andare a prendere il dolcificante perché in un nano secondo qualcuno ha captato la mia richiesta e l’ha portato al tavolo, e cerchiamo di correr via.
Alzandoci, come è consueto da McDonald’s, ho preso il mio vassoio per svuotarlo negli appositi contenitori. Mai sia!!!! Una voce concitata mi è corsa incontro al grido di “Signora, sta scherzando? Faccio io!!!”.
Ho mollato tutto. Ripercorrendo il serpentone stile Autogrill ho dovuto sorbire i saluti di tutti e le richieste di soddisfazione per location, servizio e qualità del cibo e mi sono trovata fuori (finalmente).
Inutile dire che le stesse richieste di soddisfazione mi sono giunte anche dallo store manager, sempre allocato nel parcheggio a dare indicazioni sui posteggi liberi, il quale alla mia sarcastica affermazione “Certo siete pieni di personale eh…” ha risposto: “E sarà sempre così!”. Promessa o minaccia?
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Tirando le somme.
Spesso pensiamo che fornire al cliente una cura incessante ci porterà ad essere annoverati come ottimo marchio o gestione eccellente ma è fondamentale aver cura di selezionare il tipo di assistenza da fornire alle diverse tipologie di attività e servizi che offriamo.
Il mio esempio è frutto di un’esperienza del momento e chiaramente non può raffigurare un campione di buon servizio Customer Care essendo associato ad un ristorante, per di più fast food, dove una persona per antonomasia si reca per godere dei minuti di relax e tranquillità non per trovarsi oggetto del circo Barnum, ma riparametriamolo a quei negozi in cui entri ed immediatamente qualcuno ti si mette alle calcagna non dandoti modo di vedere la merce, capirne i costi, scegliere con calma e poi eventualmente chiedere per ciò che più ti interessa.
Il momento – torniamo a bomba – è certamente particolare, ma chi spende vuole farlo in autonomia. Vuole scegliere per cosa spendere e godere dell’acquisto. La vicinanza soffocante (Overcare) uccide il commercio ed il cliente scappa. Questo lo possiamo affermare per il business al dettaglio come per quello virtuale.
Chi non si è mai scocciato per una chiamata dopo l’altra solo per aver chiesto informazioni su un prodotto? Chi non si è cancellato da una mailing list per invii massivi che tanto non verranno mai neanche aperti? Chi non ha chiesto di stoppare lettere pubblicitarie di brand dei quali è stato cliente per la cassetta postale intasata? Il cliente vuole sentirsi accolto, seguito e curato soprattutto nel post-vendita come anche preso per mano durante tutta il Customer Journey quindi compreso il momento dell’acquisto.
Dobbiamo però imparare ad essere una presenza solerte ma discreta in grado di sbucare all’occorrenza ma di renderci invisibili per dar modo a chi acquista di sentirsi colui che ci ha scovati come migliore offerta presente sul mercato. Anche un filino orgogliosamente!
E poi…McCafè è un marchio americano, compriamola una macchina per il caffè americano invece di servire un espresso fatto andare 5 secondi in più!
[perfect_survey id=”4792″]
Uno dei pezzi più divertenti che hai scritto!