
La norma che regola lo Smart Working in Italia è in scadenza il 30 aprile, ma è ormai certo che verrà prorogata almeno fino al 31 luglio. Le imprese avranno a disposizione qualche mese in più per allinearsi e dimostrare al mercato e ai propri dipendenti di essere all’altezza delle profonde trasformazioni organizzative e culturali cui stiamo andando incontro. Non sono così convinto che le aziende italiane abbiano davvero imparato qualcosa nell’ultimo anno e che siano pronte ad affrontare il cambiamento. Quando si ritroveranno davanti ad un bivio e saranno tenute a fare una scelta di campo, siamo davvero così convinti che decideranno di puntare sulla fiducia anziché sul controllo? Ho parlato con persone costrette ad inviare al proprio responsabile una mail riepilogativa giornaliera con tutti i task effettuati. Ho sentito insospettabili HR Manager definire lo Smart Working come un privilegio. Ho visto decine di middle-manager totalmente incapaci di coordinare le proprie risorse a distanza.
Oltre l’autopromozione
Quando non sarà più sufficiente autopromuoversi (“siamo stati i primi ad adottare lo Smart Working in Italia” oppure “nel giro di poche settimane, abbiamo fatto in modo che l’80% delle nostre persone lavorassero da casa”), i nodi verranno al pettine. Vedremo se l’antico tarlo italiano di non riuscire a guardare ad un palmo dal proprio naso resterà tale oppure se un nuovo ed illuminato spirito imprenditoriale si starà finalmente facendo strada. E’ davvero così importante il luogo fisico in cui un dipendente svolge il proprio lavoro? A volte sì ma, nella maggior parte dei casi, è praticamente ininfluente. Ben vengano momenti di condivisione in cui elaborare progetti, strategie ed esperienze ma mai valutare le capacità di un collaboratore in funzione della sua presenza in ufficio.
Imprenditoria 2.0
Per fortuna, gli imprenditori di nuova generazione hanno visione e mentalità completamente differenti. Sono implicitamente in grado di focalizzarsi sugli obiettivi, semplificando i processi ed alleggerendo il proprio business di tutti gli orpelli organizzativi e strutturali che i grandi colossi del mercato non riescono ancora a scrollarsi di dosso. Questa forma di agilità autoctona permette loro di essere fortemente competitivi e di strutturarsi facendo leva sul reale valore delle persone. Quando lo Smart Working non sarà più un obbligo indotto dalla crisi sanitaria ma un’opzione, si vedrà di che pasta sono realmente fatte le aziende. Tornare indietro non è, a mio avviso, una strada percorribile, sebbene la maggior parte delle imprese sarà tentata di ripristinare i vecchi modelli organizzativi (“abbiamo sempre fatto così”). Si tornerà a parlare di produttività ma, sempre e comunque, nel modo sbagliato, motivandone un eventuale calo in termini di scarso controllo sulle proprie persone.
Pensare come una start-up
Solo le aziende più innovative e lungimiranti sapranno realmente affrontare il cambiamento, adottando approcci organizzativi tipici delle start-up ma mettendo in campo competenze professionali in grado di distinguerle dalla concorrenza. Queste realtà imprenditoriali, in virtù della propria elasticità ed adattabilità, approderanno in una nuova fase di sviluppo, non più ingessata da processi vuoti ed artificiosi, ma realmente incentrata sulle persone ed orientata verso i propri clienti.