Il diniego preventivo dell’operatore diversamente propositivo

Il diniego preventivo dell’operatore diversamente propositivo

Quando un pizzico di sana iniziativa sarebbe sufficiente a migliorare il rapporto impiegato – cliente.

Avete presente il pessimismo cosmico? Quelle persone disfattiste che ogni cosa debbano fare o si apprestino a realizzare sicuramente non andrà bene, avrà una brutta conclusione o diventerà per qualche motivo irrealizzabile? Ecco, ora cercate di applicare questo modus operandi a qualcuno che si trovi a lavorare al servizio del pubblico, che debba dare supporto all’utenza. Io amo chiamarli i disinformatori.

Prendere in carico è già metà del lavoro

Nel lungo periodo della mia vita trascorso tra la formazione delle risorse di Customer Care, nella gestione della sala e nel supporto al cliente, prima ancora, ho sempre cercato di incamerare e successivamente tramettere la cosiddetta “presa in carico propositiva” che per i non addetti ai lavori si traduce in “certamente, non si preoccupi, adesso risolviamo subito”.

Questa famosa frase, che i miei operatori ricorderanno come un mantra, ci concede più di un enorme vantaggio sul cliente/utente arrabbiato:

• chiariamo immediatamente che NOI siamo i risolutori e non il nemico;
• la persona per forza di cose ci identifica come chi lo può aiutare e si calma;
• si instaura un dialogo costruttivo che spesso porta ad una soluzione;
• si conclude con la piena soddisfazione del cliente.

Come mai ancora oggi ci scontriamo con servizi scadenti, supponenti ma, ancor di più, senza speranza?

Perché purtroppo viviamo ancora in un mondo di supremazia, dove la convinzione che chi alza maggiormente la voce ha ragione vige ancora come la legge del più forte.

Non è così! Nel supporto al cliente, che sia da remoto o one to one, il sorriso, la cortesia e la One Call Solution sono tutto e decidono sin dai primi istanti di dialogo quale sarà l’esito finale.

Il famigerato impiegato delle Poste che non smentisce la sua fama decennale

Capiamoci con un pratico esempio avvenuto a Roma sotto il caldo di Agosto in un ufficio postale:

Mi reco all’orario dell’appuntamento preso sull’app e, come di consueto, entro subito non facendo la chilometrica fila sotto il sole fuori la porta. Un impiegato dell’ufficio, addetto in quel momento a regolare gli ingressi in filiale causa Covid-19, si spertica per 10 minuti a spiegare che chi entra subito “c’ha l’appuntamento” mentre, anche giustamente, le persone si lamentano animatamente visto che da ore attendono sotto il sole.

Dov’è l’errore? Presto detto: se invece di lamentarsi ad alta voce con l’utenza sul fatto che ogni giorno deve spiegare 300 volte questo fatto che le persone con l’appuntamento entrano subito, spiegasse 300 volte COME ci si prenota attraverso l’app, probabilmente avrebbe una fila dimezzata ed un efficienza lavorativa del personale triplicata.

Arrivo allo sportello davanti all’impiegato. Non si volta neanche a guardarmi continuando dietro il vetro a ridere e scherzare con i colleghi. Io, sorridentissima come sempre, porgo il mio reso Amazon e lui mi dice che sul pacco non c’è attaccata l’etichetta che mi devono aver inviato tramite e-mail.

Faccio presente che Amazon da pochi giorni adotta un modo diverso per i resi: manda un QR Code che l’ufficio postale deve scansionare per una immediata identificazione del cliente che ha reso l’articolo. Mi guarda sbalordito e mi fa “qua da noi non funziona”. In maniera assolutamente cauta e propositiva spiego che non c’è un altro modo visto che questa è la nuova procedura e che certamente ogni ufficio di Poste Italiane è stato abilitato.

Allungo cortesemente il telefono con il codice aperto. Mi dice che dovevo almeno stamparlo, il codice. Respiro profondamente ed attendo. Passa lo scanner e magicamente la sua stampante inizia ad emettere le etichette da mettere sul pacco. Sorrido, sempre. Lui ritaglia i fogli, incolla tutto. Mi allunga la ricevuta e dice “comunque non è che siamo tenuti a stampare, tagliare ed appiccicare le etichette noi, affittiamo mo se lo facciamo per tutti”. Ringrazio per la squisita cordialità e vado via.

Cosa non è andato stavolta? Ma chiaramente il disfattismo preventivo. Perché dire al cliente a priori che ciò che chiede non si può fare? Che la domanda che ti sta ponendo non ha soluzione? Che deve andar via, richiamare, recarsi altrove, tornare in altra data?

Dare un senso di positività a ciò che facciamo

Il sorriso, la pro-positività, la dimostrazione che ci si sta facendo carico della richiesta è sempre la scelta migliore. La strada del tentativo è comunque sempre quella da percorrere perché può anche darsi che ciò che ti si richiede non si possa fare, che il sistema non te lo consenta o che la procedura non vada a buon fine ma per chi si aspetta la tua assistenza, si tratta sempre di aver tentato ed avere dimostrazione dell’impossibilità.

In ultimo, la polemica sterile, che naturalmente non riguarda la parte della catena del Customer Journey che tu hai davanti in quel momento (il cliente) ma te e il tuo datore di lavoro/azienda/ufficio, non ha motivo di essere e ti pone solo ed esclusivamente in un giudizio di svogliatezza ed incompetenza.

Se non sai, chiedi. Se non ti sei o non ti hanno aggiornato sul nuovo, fallo subito. Non importa se hai il cliente davanti o in linea, penserà che sei attivo e pronto. Quel minuto che investi per il diniego a prescindere impiegalo per verificare, ne gioverà la tua competenza e professionalità ed anche il tuo rapporto con chi si affida a te.

Ridere sempre ed affrontare le situazioni in maniera distesa ci aiuta nella vita come nel lavoro a migliorare i rapporti. Troppo spesso dimentichiamo come ci si sente quando si è maltrattati dalle assistenze maltrattando a nostra volta.

#SiamoTuttiClienti, come sappiamo, ed il mio sorriso oggi magari migliora la Customer Experience di chi domani dovrà mostrarlo a me.

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3 thoughts on “Il diniego preventivo dell’operatore diversamente propositivo

  1. Ahimè, questo è un retaggio dei tempi che furono, che impatta ancora sensibilmente su tutti quei comparti ex-pubblici con personale demotivato e non sufficientemente formato. E’ soprattutto un problema di competenze ma, il più delle volte, si fa finta di niente.

    1. Ma si, forse hai ragione, tuttavia credo che il personale in poste oggi sia talmente giovane che proviene da una scuola recente e soprattutto non è più così stabile contrattualmente come un tempo.

      1. Infatti il problema non è anagrafico. E’ molto peggio. Immagino sia legato ad un certo modo di fare, che è difficile da sradicare e che, spesso, si trasmette di generazione in generazione.

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