Il Continuous Learning come leva del cambiamento

Il Continuous Learning come leva per il cambiamento

Una volta rientrata l’emergenza Covid-19, il mondo del lavoro dovrà essere altra cosa rispetto ad ora. Non sto parlando semplicemente di riduzione del tasso di disoccupazione. Di questo dovrà occuparsi soprattutto la politica. Mi riferisco al grande peso dell’apprendimento continuo (Continuous Learning) sugli esiti del nostro futuro collettivo. In queste settimane di lockdown, molte persone hanno impiegato il proprio tempo in formazione, apprendendo qualcosa di nuovo o, semplicemente, ampliando le proprie conoscenze. Gli eventi hanno forzato questo nostro rinnovato approccio all’apprendimento. Non è stato certamente qualcosa di fluido ed autodeterminato. Tutt’altro. Abbiamo percorso questa strada “per forza maggiore”. Pensandoci bene, avremmo dovuto cominciare molto tempo prima.

Instillare una cultura dell’apprendimento continuo

Sebbene sia stato fatto per diversi motivi, le principali responsabili di questo inspiegabile ritardo sono state proprio le aziende: non hanno saputo instillare una cultura dell’apprendimento continuo. In pratica, avrebbero dovuto implementare, per tempo, politiche utili ad accrescere e favorire lo sviluppo delle competenze delle proprie risorse umane. In momenti di estrema difficoltà come quello attuale, affrontare il cambiamento sarebbe stato senz’altro più naturale.

Per renderci conto dell’effettiva portata del fenomeno prima dell’esplosione dell’emergenza, è utile sapere che, secondo una recente indagine di Eurostat sulla forza lavoro dell’Unione Europea (UE) di età compresa fra 25 e 64 anni, nel 2019 il tasso di partecipazione al Lifelong Learning (o Continuous Learning) nell’UE era pari all’11,3%, 0,2 punti percentuali al di sopra del tasso del 2018. Il tasso è aumentato gradualmente dal 2015, quando era solo del 10,7%.

Incentivare la capacità di adattamento delle persone

A fronte di una determinata esigenza di business, le aziende necessitano della persona più adatta a soddisfarla. Fin qui, tutto bene. Il passo successivo dovrebbe essere quello di allineare le conoscenze di una o più risorse potenzialmente abili a soddisfare tale esigenza con un percorso formativo mirato, che possa, non solo adempiere alle inderogabili esigenze aziendali, ma anche e soprattutto, “dare valore” a quei lavoratori. Le aziende spesso preferiscono rivolgersi al mercato senza aver prima verificato la possibilità di far crescere e valorizzare le proprie persone. Non c’è mai stato errore più grande. O meglio, per alcune mansioni, è ovviamente necessaria una certa discontinuità, soprattutto in ambito manageriale. Ma nella maggior parte dei casi, questo non è necessario. Anzi. Se avessero investito in tempi non sospetti sulle proprie persone, in maniera strutturata e continuativa, forse oggi non denuncerebbero la dilagante penuria di competenze di cui spesso si sente parlare sui giornali.

Il centro dell’innovazione e della crescita aziendale

Dopo aver superato questa difficilissima fase di stallo, dovremo impegnarci a valorizzare le nostre persone, investendo in maniera costante sulla loro formazione. Il futuro che ci attende è assai incerto. Sebbene abbia contribuito a semplificare molti processi, dal punto di vista delle competenze (skill), la Digital Transformation sta anche mettendo in luce diverse criticità, soprattutto in alcuni settori industriali. La capacità di adattamento delle risorse umane dovrebbe essere costantemente valorizzata ed incentivata dalle aziende attraverso sessioni di apprendimento continuo (Continuous Learning), volte ad ampliare (Upskilling) oppure a cambiare radicalmente (Reskilling) le competenze delle risorse a propria disposizione. Questo permetterebbe loro di capitalizzare tutti gli investimenti fatti fino a questo momento attraverso un riconoscimento effettivo dell’importanza della fiducia dei propri dipendenti e della loro relativa e specifica conoscenza della realtà in cui operano.

Contrariamente a quanto si possa credere, in una organizzazione più o meno complessa sono proprio le persone più qualificate a rappresentare il centro dell’innovazione e della crescita aziendale. Non basta migliorare i processi o puntare esclusivamente sulla qualità dei prodotti. Affinché siano sempre in grado di soddisfare le mutevoli esigenze del mercato, è opportuno che le aziende si preoccupino costantemente dell’aggiornamento delle competenze delle proprie risorse umane, creando “valore” attraverso il loro prezioso contributo.

Sebbene in queste ultime settimane di lockdown il Customer Service abbia assunto un ruolo di primaria importanza, è innegabile non considerarlo uno dei settori più sensibili al cambiamento. L’incapacità di alcune aziende di immaginare un potenziale sviluppo delle competenze delle risorse impegnate nella gestione delle relazioni con i propri clienti, potrebbe essere fatale. Eppure, come vi dicevo già in altri post di questo blog, i margini di sviluppo sono potenzialmente molto ampi e differenziati. E’ necessaria solo una grande dose di onestà e lungimiranza. Svincolare gli addetti all’assistenza da attività troppo semplici e ripetitive impiegandoli in attività più complesse e, quindi, più redditizie potrebbe davvero fare la differenza. Mi chiedo soltanto se le aziende lo abbiano già capito.

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