
Per far fronte all’emergenza Covid-19, le maggiori aziende Europee si stanno rapidamente riorganizzando in modalità Smart Working per dare continuità ai propri servizi. L’obiettivo non è solo quello di proteggere i propri lavoratori dal contagio ed impedirne un’ulteriore diffusione ma, anche e soprattutto, di non abbandonare a loro stessi i propri clienti. Come vi dicevo in un precedente articolo, le aziende che si dimostreranno affidabili e presenti anche in questi momenti di incredibile criticità, faranno un prezioso e, per certi versi, indispensabile investimento sul proprio futuro. Quando l’emergenza rientrerà, saranno le uniche realtà in grado di riprendere – più o meno agevolmente – in mano le redini del proprio business.
Cos’è lo Smart Working (o Lavoro Agile)?
Come vi ho già specificato in un precedente post, sebbene lo Smart Working (o Lavoro Agile) sia stato definito in molti modi, quello a mio avviso più chiaro, ci viene fornito direttamente dal nostro ordinamento giuridico. La Legge n. 81/2017 (il cosiddetto “Jobs Act del lavoro autonomo”) definisce il Lavoro Agile come “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”.
La mancata diffusione a livello capillare dello Smart Working in Italia è sempre stata ostacolata o, quantomeno, frenata da fattori di ordine soprattutto culturale e, solo in parte, tecnologico. La tecnologia, in questo senso, ha infatti semplificato alcune criticità che fino a qualche tempo fa erano insormontabili e potevano, in qualche modo, rappresentare una giustificabile scusa per non adottare questo modello organizzativo. Non tutte ovviamente. Secondo un recente rapporto dell’Istat, “Rapporto sulla conoscenza”, la diffusione e l’utilizzo di Internet in Italia sta continuando a crescere ma resta decisamente più contenuto di quanto non avvenga nella media dei nostri paesi partner. Nel rapporto si legge che, tra il 2008 e il 2017, la quota di utenti regolari (almeno una volta a settimana) nella popolazione europea tra 16 e 74 anni è aumentata dal 56 all’81%. In Italia, gli utenti regolari si fermano al 69% (erano però solo il 37% nel 2008).
Se i benefici “lato lavoratore” derivanti dall’adozione dello Smart Working sono piuttosto evidenti, dalla riduzione dei tempi e costi di trasferimento all’incremento della motivazione, passando per un effettivo miglioramento del cosiddetto work-life balance, quelli “lato azienda” necessitano di maggiori approfondimenti e, soprattutto, non sono immediatamente riscontrabili. E’ indispensabile, infatti, che le aziende imparino a concentrarsi sui risultati e gli obiettivi raggiunti e non sulle ore che i dipendenti passano sul luogo del lavoro. In un recente studio del Centro di Ricerca Carlo Dondena dell’Università Bocconi, cofinanziato da Commissione Europea e Dipartimento pari Opportunità della Presidenza del Consiglio e condotto in ACEA, è stato dimostrato che, in nove mesi di monitoraggio, i lavoratori “agili” hanno garantito una produttività maggiore del 3-4%.
Da una recente indagine di Platform.sh, resa disponibile in Italia da CorCom e condotta su un campione di 700 lavoratori statunitensi, emergono altri dati piuttosto significativi, quantomeno in prospettiva. Secondo Platform.sh, il 47% dei lavoratori intervistati sarebbe disposto a rinunciare a parte della propria retribuzione per lavorare in Smart Working. E’ un dato, questo, assolutamente sorprendente che potrebbe, da qui a poco, rivoluzionare completamente la percezione che la maggior parte delle aziende hanno dello Smart Working.
Lo Smart Working in Italia e in Europa prima e dopo l’esplosione dell’emergenza Covid-19
Da una recentissima analisi statistica della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, “Gli occupati in Italia ai tempi del Coronavirus”, che prende in considerazione 23 milioni di lavoratori (di cui 5 milioni 306 mila autonomi e 17 milioni 146 mila dipendenti), emerge che sono circa 3 milioni (il 13,2% del totale degli occupati) coloro che si sono ritrovati da un giorno all’altro a casa per via dei provvedimenti “straordinari” adottatati dal Governo per far fronte all’emergenza sanitaria da Covid-19.
Anche il recente andamento delle Borse europee è in grado di fornirci informazioni piuttosto interessanti. Grazie al massiccio ricorso allo Smart Working da parte delle aziende, in data 17 Marzo 2020 (fonte ANSA) l’indice del settore delle Telecomunicazioni ha guadagnato infatti oltre il 10%, con rialzi a due cifre per la belga Proximus (+20,99%), la francese Iliad (+19,28%), la spagnola Telefonica (+17,8%) e l’olandese Koninklijke (+15,8%). Per quanto riguarda Piazza Affari, gli acquisti si sono invece concentrati su Tim (+11,27%).
Per rendersi effettivamente conto della situazione attuale, è piuttosto utile analizzare anche i dati relativi alla diffusione dello Smart Working in Italia prima dell’esplosione dell’emergenza Coronavirus. L’ottava edizione della ricerca realizzata dall’Osservatorio dello Smart Working del Politecnico di Milano in collaborazione con Doxa, “Gli Smart Worker in Italia”, aveva stabilito che il numero di “lavoratori agili” nel 2019 si aggirava intorno alle 570 mila unità, il 20% in più rispetto all’anno precedente. In prospettiva, questi dati sono molto promettenti (tra il 2013 e il 2019 il numero degli Smart Worker è infatti quasi quadruplicato) ma se confrontati con quelli europei, questo cauto ottimismo sembra ridimensionarsi notevolmente. Secondo un recente studio condotto da Eurofound e dall’Organizzazione Mondiale del Lavoro, “Working anytime, anywhere: The effects on the world of work“, effettuato ovviamente prima dell’esplosione dell’emergenza Covid-19, l’Italia (7%) era ultima in Europa, preceduta da Grecia (9%), Repubblica Ceca (10%), Polonia (10%), Slovacchia (10%), Ungheria (11%) e Portogallo (11%).
Remote Working e Contact Center
Prima di lasciarvi, vorrei sottoporre alla vostra attenzione l’indagine “Remote Working e Contat Center” (un questionario di 11 domande), attraverso la quale Club CMMC (una iniziativa che, dal 1997, aggrega società che si occupano di relazione ed esperienza con clienti), si propone di far luce su alcuni dei possibili cambiamenti indotti dall’emergenza Covid-19 in un settore già particolarmente interessato da innovazioni e normative. Qui di seguito, troverete un video con un commento di Mario Massone, fondatore del Club CMMC, sui primi dati raccolti dall’indagine in oggetto.