
Se la priorità dei fornitori di tecnologia è soprattutto quella di progettare e rendere disponibile una determinata soluzione, le aziende committenti dovrebbero invece preoccuparsi di integrarla omogenenamente nella propria strategia, rendendo progressivamente sempre più specialistico il contributo umano nei processi di business. E’ indispensabile una concreta sinergia tra le parti, mediata dalla tecnologia e dall’innovazione, ma strettamente connessa con le reali esigenze del proprio target di riferimento.
Comunicare i benefici dell’innovazione
La percezione dei clienti rispetto all’Artificial Intelligence è spesso condizionata da una pessima comunicazione dei benefici derivanti dall’introduzione di tali soluzioni tecnologiche. Troppo spesso si comunica la tecnologia, anche in maniera approfondita e puntuale, ma non il potenziale miglioramento della Customer Experience. Invece di concentrarsi solo sui tempi di gestione dei contatti, senz’altro ridotti drasticamente per buona parte delle richieste, bisognerebbe far capire ai clienti che svincolare gli esseri umani da task semplici e ripetitivi equivarrebbe anche a garantire un loro maggiore effort su casi più complessi e problematici. Lasciamo che la tecnologia venga “spiegata” e “raccontata” da chi la produce o la commercializza e cerchiamo di dedicare più tempo ed energie a “disegnare” e a “comunicare” in maniera semplice e chiara i benefici derivanti dall’utilizzo di tali soluzioni sull’esperienza complessiva del cliente.
Il mercato dell’Artificial Intelligence
Se nel 2019 il mercato dell’Artificial Intelligence valeva circa 200 milioni euro (fonte Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano) per riconfermare o addirittura migliorare questo trend anche nel 2020 bisognerà senz’altro fare i conti con la recente esplosione dell’emergenza Covid-19. E’ altamente probabile che molte priorità siano cambiate ed almeno una parte dei progetti a medio termine, pianificati all’inizio di quest’anno, dovranno indubbiamente essere ripensati o, quantomeno, rischedulati.
A tal proposito, è interessante segnalare che, secondo una recentissima indagine del Club CMMC (AI in emergenza Covid-19 e dopo), “l’emergenza Covid-19 ha accelerato le riflessioni sul modello di business, sulle riorganizzazioni e sul mercato delle nuove applicazioni, ma ha anche contribuito a rifocalizzare alcuni progetti di AI”. In particolare, rispetto allo scenario pre-emergenza, il 40% del campione interpellato ha dichiarato di aver rifocalizzato il progetto di AI, il 33% di aver addirittura fatto partire nuovi progetti e solo il 17% di non aver apportato alcuna modifica al progetto. Staremo a vedere.
Scenari post-emergenza
Al di là dell’emergenza Covid-19, la maturità delle aziende rispetto all’AI è ancora piuttosto acerba. Secondo l’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano infatti, nel 2019 l’esigenza primaria delle aziende era quella di risparmiare e ridurre i costi (il 65% del campione interpellato sceglieva i propri fornitori sulla base delle tariffe offerte). Ora, i possibili scenari sono fondamentalmente due: o si riducono progressivamente gli investimenti per concentrarsi su altri progetti oppure si può provare a trasformare questa emergenza in una opportunità, puntando ancora di più su digitalizzazione ed innovazione come principali leve per il cambiamento.
Dal mio punto di vista, ci sarebbe anche un terzo scenario, decisamente più sfidante ma, alla lunga, senz’altro più profittevole: integrare omogeneamente tecnologie e “Human Touch”, lavorando sulla fruibilità delle prime e valorizzando l’essenziale contributo del secondo attraverso l’implementazione in azienda di strutturate politiche di Continuous Learning e Upskilling/Reskilling. Più facile a dirsi che a farsi!